“I giudizi di Dio sono differenti dai giudizi degli uomini. Voi credete che io volevo parlarvi per licenziarmi da voi, ma, invece, vi dico che resterò in mezzo a voi ed è volontà del Signore che in Secondigliano sia fondata una Cappella dell’Addolorata e voi mi dovete fornire i mezzi che mi mancano, essendo io un povero uomo”.
È il 14 maggio 1826, festa della Pentecoste, anno giubilare nel Regno delle due Sicilie. La gente, ansiosa e curiosa “di udire una divina ambasciata, mandata da Sua Divina Maestà”, gremisce tanto la Chiesa parrocchiale che don Gaetano non può passare.
Certi ormai che egli non lasci il paese, molti piangono al sentire che la Madonna ha scelto Secondigliano per una chiesa dedicata a Lei ed ognuno generosamente offre denaro e gli oggetti preziosi, che porta.
Si raccolgono 500 ducati e vari oggetti preziosi.
La domenica successiva, durante la processione della Madonna Addolorata, le offerte aumentano. Alla fine si sono raccolti 1055 ducati e 2000 oggetti di valore.
Cos’è capitato? La spiegazione la dà lo stesso don Gaetano:
“Passato un anno dalla mia inaugurazione del sacerdozio mi ritirai per alcuni giorni nel collegio di S. Michele dei Padri del SS. Redentore, in Pagani, per rinnovare il mio spirito e tanto continuai a fare per dieci anni consecutivi”.
Nei primi anni, una sera, dopo l’orazione mentale, essendomi rimasto in coro, mi comparve il B. Alfonso dei Liguori in abiti vescovili, dicendomi che dovevo fondare una Congregazione simile alla sua, principiando da Secondigliano, da estendere al braccio di Aversa. Nell’anno seguente, tornando al detto collegio, mi apparve di bel nuovo il B. Alfonso negli stessi abiti, avendo di fronte l’immagine di Maria SS., dettandomi che avrei fatto in Secondigliano una Chiesa all’Addolorata Vergine, in segno della futura fondazione. Negli anni successivi che continuai il mio ritiro mi successe lo stesso”.
Don Gaetano parla delle apparizioni al suo parroco e confessore, don Michelangelo, che l’invita a soprassedere per meglio conoscere la volontà di Dio, ed al P. Luigi Rispoli, redentorista, che, invece, lo sollecita, incoraggia e gli ordina: “Impegnati subito subito a far fabbricare la veduta chiesetta”.
Finalmente nel 1822 il parroco consente a don Gaetano di chiedere al Comune l’autorizzazione per avere il terreno per la costruzione, senza parlare di altro.
La richiesta suscita l’ira del cancelliere comunale, nonché medico condotto del paese, don Carlo Barbati, spalleggiato dal figlio sacerdote, don Peppino, i quali sostengono che
una nuova chiesa allontanerebbe i fedeli da quella parrocchiale,
la gente potrebbe impoverirsi per questo,
sono stati spacciati falsi miracoli ed apparizioni per ottenere di costruire la Chiesa, che, se si deve costruire, è più opportuno a Capodichino, al posto di quella di S. Michele, demolita per costruire il Campo.
Il Barbati, presente al Consiglio comunale, convince tutti i Decurioni a votare contro la proposta, per cui, quando il Sindaco comunica a don Gaetano la decisione, questi ne contesta la validità per la presenza indebita del cancelliere comunale.
Il Consiglio, costretto a riunirsi per il riesame, questa volta approva la proposta.
Il paese, ormai, è diviso e ciò crea momenti di tensione tra gli opposti partiti, fino a provocare qualche  litigio.
Il partito contrario, capeggiato da don Carlo Barbati, è piccolo, ma potente.
Il parroco per prudenza ancora una volta invita don Gaetano a soprassedere.
Ma nel 1825 sant’Alfonso appare di nuovo a don Gaetano, esortandolo a realizzare la costruzione della Chiesa.
Don Michelangelo, siccome è l’anno santo della Chiesa universale, crede bene riservare la notizia per l’anno giubilare, che si celebrerà nel Regno. Così s’arriva alla festa dell’Ascensione del 1826, quando egli dall’altare avvisa che don Gaetano ha un messaggio da dare nella domenica di Pentecoste.
Il Barbati affila le sue armi, perché la costruzione della Chiesa sia impedita. Si mettono in giro calunnie sul conto di don Gaetano, dicendo che egli sta usando le offerte raccolte per maritare la sorella Carmina.
Addirittura si fa giungere l’accusa al Sottintendente di Casoria, il Cav. Del Vecchio, che, convinto dal Barbati, ordina a don Gaetano di depositare tutte le offerte ricevute presso il parroco e di chiuderle in una cassa con tre chiavi, una per sé, l’altra per il sindaco e la terza per il parroco. Inoltre proibisce di continuare a questuare, minacciandolo di carcere e d’esilio se continua a parlare della chiesa.
La mamma di don Gaetano, intimorita dalle minacce al figlio, interviene presso il Sottintendente, per scongiurare eventuali pericoli, mentre il popolo minaccia una rivolta se le offerte non saranno usate per la costruzione della chiesa.
Don Gaetano li tranquillizza: “Mamma, non dubitate io non andrò in carcere e la Chiesa si farà” ed al popolo ripete: “Non dubitate che la Chiesa si farà”.
A chi cerca di dissuaderlo dal proposito o di convincerlo ad optare per un altro luogo, egli esclama: “Io non voglio parlare, ma quando mi costringete a parlare, vi dirò che in qualunque altro posto la Chiesa sarebbe cominciata, ma non terminata, facendola, poi, nel luogo  e nel modo da me designato, sarebbe non solo  cominciata, ma anche terminata”.
La gente s’ostina contro il Barbati ed un giorno arriva a minacciarlo. Una donna lo strattona per la giacca e gli molla uno schiaffo, e certamente ne avrebbe avuti, se non fosse intervenuto lo stesso don Gaetano, chiamato urgentemente in chiesa.
L’accaduto costituisce altro argomento contro don Gaetano, accusato questa volta presso la Curia arcivescovile di Napoli, come aizzatore del popolo.
Il Cardinale Ruffo Scilla, sentito il parroco e conosciuta la verità, mette fine alle lunghe discussioni, approvando il progetto di don Gaetano e lodando l’iniziativa presso le autorità civili.
La pratica, rimessa al parere della Consulta del Regno, nel febbraio del 1827 è approvata.
La comunicazione all’Arcivescovo è fatta nell’ottobre dello stesso anno.
Il luogo indicato da don Gaetano: “Un giorno, mentre celebravo all’altare maggiore durante la Messa, fra il Memento vidi una chiesetta formata nel luogo designato e nel sito e posizione, come al presente si vede, fabbricata tutta intrecciata di spine”, è un posto con poche case diroccate, frequentato da persone di malaffare.
La proprietà è della marchesa di Palma Clementina e di suo marito, il cavaliere Diego Afflitti, che, richiesti, “là per là donarono la porzione di suolo ad essi spettante per la costruzione della Chiesa, ma perché quel terreno era anche di pertinenza di don Michelangelo Franco, dei suoi fratelli e di don Saverio Tramontano, che, chiesti i loro diritti, non ebbero difficoltà alcuna a cederli per la fabbrica della progettata Chiesa.”
Il giorno 13 dicembre 1827, finalmente, il canonico don Gennaro Pellino, tra una folla esultante, benedice la prima pietra della nuova Chiesa, voluta dalla Madonna.
Il 2 gennaio 1828 iniziano i lavori. È una gara tra uomini, donne e giovani  per scavare le fondamenta, trasportare calce, pietre e quanto necessita per la costruzione, tra la derisione degli avversari, i quali pensano e sperano che la costruzione non termini, per mancanza di soldi.
La gente, invece, continua a portare liberamente offerte.
Durante la costruzione si verifica un fatto prodigioso. Mentre si sta elevando un grosso masso, all’improvviso si sentono delle urla. La fune sta per spezzarsi. Accorre don Gaetano, che impallidisce, ma con la fede di un santo ordina: “Tirate. Non abbiate paura, perché non succede niente”. Ed il masso è sistemato al suo posto.
Dopo due anni, la Chiesa è terminata, arredata del necessario e degli arredi sacri.
Le offerte della gente sono bastate. Non è stato necessario ricorrere alle persone che si erano impegnate con atto pubblico il 18 -12- 1826 a versare di propria tasca, per l’evenienza. 
Il 9 dicembre 1830 S. Ecc.za Mons. Rossi, arcivescovo di Damasco e Consultore di Stato,
benedice la nuova Chiesa, segno dell’opera più grande richiesta da Sant’Alfonso a don Gaetano: fondare una Congregazione religiosa.
Sull’altare centrale don Gaetano espone provvisoriamente un quadro alto più di due metri della Madonna Addolorata, che sta in piedi, poco distante dalla tomba del Figlio e con degli angeli piangenti, che portano i simboli della passione.
Nel 1835 lo sostituirà con una statua in legno commissionata all’artista napoletano Francesco Verzella, che sta quasi per arrendersi, non riuscendo ad accontentarlo per l’espressione del volto, quando alla dicesettesima volta che lo scolpisce, don Gaetano, entrando nella sua bottega, arrossisce in volto ed esclama: “Questa è Lei!”.
Lei? Chi? La Madonna che gli ha mostrato S. Alfonso?
Cent’anni dopo, il 4 agosto 1935, il Cardinale Alessio Assalesi solennemente l’incorona, riconoscendo il rapporto filiale che ormai lega la Madonna di Don Gaetano al popolo, specialmente, di Secondigliano.