Terminata la costruzione della chiesa, dedicata alla Madonna Addolorata, don Gaetano mette mano all’opera principale, indicata da Sant’Alfonso: “Una Congregazione simile alla sua, principiando da Secondigliano”.
Aiutato dalla gente, con le braccia e le offerte, fa costruire delle stanze per accogliere i sacerdoti che vogliono unirsi a lui nell’opera delle Missioni.
In pochi anni sono erette 14 stanze e due dormitori, cosicché il Cardinale Filippo Caracciolo nel 1839, relazionando alle Autorità civili, può dire che la nuova casa è capace di contenere anche quaranta persone.
Nel gennaio 1831 don Gaetano e don Michelangelo Vitagliano chiedono al Card. Ruffo Scilla ed al Re il permesso di istituire un Ritiro per sacerdoti e di confessare, predicare ed istruire nella nuova chiesa
Il Cardinale incarica a studiare la cosa il canonico Panico, che, a sua volta, passa la richiesta al curialista don Bartolomeo Guida, che non trova di suo gradimento né l’unione dei sacerdoti né gli statuti, tanto è vero che alle varie richieste di informazioni da parte delle Autorità civili, la Curia non risponde.
Il 17 novembre 1832 muore il Card. Ruffo Scilla e gli succede il 15 aprile 1833 Sua Ecc.za Mons. Filippo Caracciolo, che, ricevuto in udienza don Gaetano, mostra interesse per l’opera e lo prende a ben volere, cosicché alla rinnovata richiesta da parte del Re, risponde: “Credo non esservi alcuna difficoltà che questi buoni ecclesiastici si prestino per quest’opera. In caso che, poi, il Signore benedicesse la loro opera e che dovesse installarsi a Congregazione, mi riservo di prendere ulteriori informazioni”.
All’inizio del 1833, tra le lacrime dei suoi parenti, Don Gaetano lascia la casa paterna e va ad abitare in una stanza attigua alla nuova Chiesa.
L’otto febbraio 1834 egli ed altri sacerdoti, ritirati e coadiutori, sottoscrivono la richiesta al Re ed al Cardinale di dar vita  ad un Ritiro di sacerdoti in Secondigliano, sotto il titolo dei Sacri Cuori, per l’opera delle Missioni.
La prima missione la svolgono a Secondigliano ed il bene è tale che un testimone, dopo molti anni, dice: “Ora se ne parla ancora” .
Il 19 marzo 1836 il Re concede l’autorizzazione al Ritiro, ma, i primi sacerdoti, che hanno aiutato don Gaetano, preferiscono ritornare alle loro case ed egli rimane solo.
A qualcuno che glielo fa notare risponde fiducioso: “Sant’Alfonso nel fondare la sua Congregazione rimase solo con un compagno”.
Infatti, la sua fede è premiata.
Arrivano i primi giovani e le richieste di molte mamme, che, durante le missioni, presentando i loro figli, gli chiedono di accoglierli in convento.
Il 1° ottobre 1836, così, egli apre il primo noviziato e v’ammette sette giovani; ne dovevano essere otto, ne manca uno.
Un giorno, mentre don Gaetano è alla casa paterna per far visita alla mamma ammalata, bussa alla porta un distinto signore, che accompagna un ragazzo claudicante, rimasto orfano dei genitori.
Ha girato parecchi conventi, perché il ragazzo vuole farsi religioso, ma la risposta è stata negativa. Alla fine gli consigliano di andare a Secondigliano, dove un sacerdote sta per aprire una nuova congregazione religiosa. Il colloquio tra don Gaetano ed il ragazzo dura quasi mezz’ora. Quando il ragazzo esce, è contento perché don Gaetano gli ha promesso di accoglierlo in congregazione, appena aprirà il noviziato.
Rimasto solo con la sorella Rosalia, don Gaetano le chiede: “Hai visto quel giovanetto? Vorrebbe farsi religioso, ma nessuno lo vuole accettare, perché è malato. Penso di accoglierlo nella mia congregazione”. “Come, gli replica la sorella, incominci con un malato?” ed egli: “Poco m’importa che sia malato, mi preme, piuttosto, che il primo ad entrare in congregazione sia un santo”.
Don Gaetano aveva visto bene. Quel ragazzo è il beato Nunzio Sulprizio , modello della gioventù operaia, il quale non può realizzare il suo desiderio di essere il primo religioso dei Missionari dei Sacri Cuori, perché muore il 5 maggio 1836, all’età di dicennove anni.
L’opera incomincia a concretarsi e bene.
Occorre, ora, pensare alla Regola, che don Gaetano, aiutato da uomini di spirito, scrive forse nello stesso luogo dove il Signore gli ha parlato.
Nel 1838, recatosi a Roma, presenta la richiesta di approvazione sia della Regola che dell’Istituto religioso alla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari.
Il 22 giugno dello stesso anno la Sacra Congregazione loda l’Opera, ma ne rimanda l’approvazione a quando l’Istituto, che ha per il momento una sola casa e le Regole non sperimentate, sarà cresciuto numericamente.
Don Gaetano con ragione non perde la speranza. Infatti, il 13 maggio 1840, il Re di Napoli non solo concede il riconoscimento al nuovo Istituto, dichiarandolo legittimamente esistente e capace di godere dei corrispondenti effetti civili e canonici, ma dà anche il suo assenso agli Statuti per la nuova casa.
La strada è spianata.
Molti Vescovi incominciano a richiedere i “Missionari di don Gaetano” e, quando c’è qualche situazione difficile nel paese, pretendono la sua presenza, ma, purtroppo, non sempre egli può soddisfare le loro richieste, per il ristretto numero dei congregati
La gente, intanto, vedendo i missionari continuamente occupati nella predicazione, negli esercizi spirituali, nel confessare e nell’aiutare il prossimo in ogni modo ed apprezzando molto il loro operare, chiede che siano aperte nuove case religiose nei loro paesi. Sorgono, così, dal 1842 quelle di Andretta, Roccasecca, Sandonato, Bitetto, Itri.
.
Nel maggio 1846, cresciuto il numero delle case e dei congregati ed incoraggiato dalle numerose lettere postulatorie dei Vescovi e, soprattutto, dell’Arcivescovo di Napoli, don Gaetano ritorna a Roma, dov’è ricevuto due volte in udienza dal Papa Gregorio XVI, che  s’interessa allo sviluppo della nuova Congregazione religiosa e gli ricorda i tempi  in cui aveva dovuto lavorare anche egli per il suo Ordine religioso.
Ma il 1 giugno 1846 il Papa muore e don Gaetano non sa se ritornare a Napoli o rimanere a Roma, per aspettare l’esito del Conclave.
Alla fine decide di rimanere.
In quei giorni visita il card. Giovanni Maria Mastai Ferretti e, accomiatandosi da lui, dice: “Santità, vi raccomando la mia Congregazione”.
È una profezia?
Il 6 giugno 1846, dopo solo due giorni di conclave, il Card. Giovanni Maria Mastai Ferretti è eletto Papa, con il nome di Pio IX.
Ricevuto in udienza dal nuovo Papa, ripresenta la domanda già fatta al Predecessore ed in essa implora l’approvazione della nuova Congregazione, scrivendo: ” Affinché nel principio del suo felicissimo Pontificato si vedrà nascere nella Chiesa un nuovo Istituto che professa opere tutte di amore”.
Il 17 luglio  nell’Ordinaria dei Cardinali e Vescovi, esaminata la richiesta, l’esito è favorevole, per cui il Papa il 7 agosto emana il decreto di approvazione.
Nuovamente ricevuto in udienza, il Papa, gli appone sul petto lo stemma dei Sacri Cuori.
Don Gaetano è visibilmente commosso e soddisfatto, ora l’opera richiestagli da Dio è compiuta.
A Secondigliano, accolto con grande festa, organizza l’annuale  processione in onore del S. Cuore di Gesù, durante la quale fa portare anche uno stendardo, in cui si vede il Papa in trono e lui che, circondato dai religiosi, gli presenta le Regole.   
Raduna, quindi, la comunità religiosa, e rimette il mandato di Superiore, chiedendo che si facciano nuove elezioni, ma tutti unanimemente gli chiedono di continuare e di scegliere per gli uffici i religiosi che crede più idonei.
Fino alla morte egli sarà il Superiore Generale dell’Istituto ed “O Superiore”, per i secondiglianesi.
Come superiore è da tutti amato, perché
amministra le cose con esattezza, con prudenza e con buone maniere,
si adopera per l’osservanza della Regola ed il mantenimento della disciplina;
sistema ogni cosa con modi buoni e garbati;
corregge i negligenti con pazienza e paternità, ma, all’occorrenza , castiga anche;
sopporta con pazienza  le mormorazioni di coloro che non sono soddisfatti;
concede tempo ed opportunità ai pigri, perché migliorino nell’osservanza della Regola, ma li allontana senza esitare, quando si convince che non sono adatti alla vita religiosa;
ricorda continuamente che si sta in convento per farsi santi, altrimenti la porta è aperta;
sollecita a comportarsi in modo tale da poter passare direttamente “dalla cella al cielo”;
gira ogni giorno tutta la casa, fino all’ultimo piano, per vigilare sull’esatta osservanza, benché una piaga alla gamba e l’asma  gli procurino molta sofferenza;
è sempre il primo ad accorrere al suono del campanello per le pratiche di pietà;
si prende cura continuamente dei malati;
incoraggia i novizi, che, spesso, accompagna personalmente a passeggio ed insegna loro gli esercizi da fare nelle missioni;
visita frequentemente le case dell’Istituto e, quando non può farlo di persona, incarica qualche religioso dell’Istituto.
 
Don Gaetano ha tutte le qualità di un buon superiore, tuttavia non mancano gli scontenti, le gelosie e le invidie, per cui un giorno è accusato presso il Vicario Capitolare di Napoli, Mons. Michele Savarese, di poca oculatezza nell’accettazione dei candidati e di leggerezza nella conduzione della casa e dell’Istituto, difetti che favoriscono il verificarsi di fatti incresciosi e di scandali.
Il Monsignore lo convoca d’urgenza e lo rimprovera aspramente. Don Gaetano ascolta in silenzio, a testa bassa e braccia conserte. Invitato, alla fine, a rispondere, esclama: “Monsignore, se voi credete che l’opera per divina ispirazione da me iniziata non è buona, ordinate che sia chiusa la casa ed immediatamente io ubbidisco e tengo come se nulla fosse successo”.
Mons. Savarese, edificato per la sua calma, umiltà ed obbedienza, gli replica: “Ora ho capito che sei un santo. Prosegui a fare i divini voleri. D’oggi non darò ascolto a chi dirà male di te e della tua Congregazione” e gli consegna  la lettera, con le firme degli accusatori. Don Gaetano la piega e mette in tasca. Non ne terrà mai conto.
Pur essendo Superiore, non tralascia  l’opera apostolica nella sua chiesa  e nelle missioni:
ogni giorno, mattina e sera, fa la meditazione al popolo sulle verità eterne;
confessa le donne e gli uomini e questo fino a notte avanzata;
spiega la domenica mattina il vangelo e nel pomeriggio riunisce gli uomini per la dottrina cristiana;
fa gli esercizi spirituali,
promuove le pratiche di pietà, come il mese di maggio e la via crucis,
raduna ogni lunedì le signorine ed il mercoledì le donne sposate e vedove;
cura la preparazione a tutte le feste della Madonna, degli Arcangeli Michele e Raffaele e dei santi Alfonso e Gaetano Thiene;
risponde a tutte le richieste di missioni, alle quali partecipa sempre, quando non è impedito, altrimenti non manca di visitarle.
Il 5 marzo 1858, dopo estenuanti trattative, ha la gioia di aprire una casa a Roma, poiché  la famiglia Santacroce gli ha offerta la chiesa di S. Maria in Publicolis con l’annessa casa  ed un’altra nel 1859 a Bari.
Giovane seminarista aveva sognato di andare missionario tra i non credenti, per cui nel 1846, avuta l’approvazione dell’ Istituto, mentre è ancora a Roma, ne chiede l’aggregazione alla Congregazione della Propagazione della Fede “per essere inviati alle sante Missioni nelle parti degli infedeli, ovunque alla Sacra Congregazione piacerà”.
Il Card. Franzoni, Prefetto della Congregazione suddetta, nel 1855 l’esaudisce e gli propone “di operare una missione nel Regno dell’Angola e del Congo”.
Don Gaetano subito scrive ai vari Rettori delle case e chiede la disponibilità dei congregati. Molti si dichiarano pronti a partire, ma la Sacra Congregazione differisce la partenza, per motivi politici.
La morte del Fondatore, avvenuta nel 1860, fa accantonare la proposta.
All’inizio del millenovecento l’Istituto, anche se lentamente, incomincia  ad estendersi nel mondo: nel 1912 è in Argentina, nel 1938 in Uruguay; nel 1953 negli Stati Uniti, nel 1982 in India  e nel 1994 in Slovacchia, dimostrando che l’opera di don Gaetano è veramente voluta da Dio; diversamente, per gli eventi storici, tutt’altro che favorevoli, sarebbe stata travolta.
Il Fondatore un giorno aveva risposto solo con queste parole ai congregati, che gli chiedevano di raccontare della visione di Sant’Alfonso: “La nostra Congregazione è un’opera voluta da Dio”.