È la fine del secolo XVIII.
Il parroco, don Cataldo Pumpo, invita alcuni missionari nella sua parrocchia dei santi Cosma e Damiano, in Secondigliano, per la preparazione al prossimo giubileo del 1800.
C’è confusione e smarrimento tra la gente per le novità politiche, sociali e culturali, provenienti dalla Francia, dove la rivoluzione del 1792, deposta la monarchia, ha instaurato il regime repubblicano.
L’accanimento è, soprattutto, contro la Chiesa cattolica. Si proclamano, infatti, come nuova religione la ragione e la natura.
È l’ateismo.
Le nuove idee rivoluzionarie si estendono con le conquiste territoriali della nuova Repubblica in molti Stati d’Europa, compreso il Regno di Napoli.
L’illuminismo, il giansenismo, la massoneria sono i movimenti ideologici, che condizionano il pensiero filosofico e teologico del tempo, creando tra la gente, specialmente la più umile, confusione e sgomento.
Per questo, poiché da parte dei fautori della svolta politica e culturale, la Chiesa sembra il nemico numero uno da abbattere, i pastori di anime non stanno a guardare ed alzano barricate contro le nuove dottrine.
A Napoli, accanito oppositore alle novità che vengono da oltralpe è S. Alfonso.
I Padri invitati per la missione a Secondigliano appartengono proprio alla nuova Congregazione del SS. Redentore, fondata dal Santo per contrastare il diffondersi di tanti errori, istruendo nella fede le categorie più ignoranti, quelle della campagna.
Così sacerdoti e missionari, per difendere il gregge, si danno un gran da fare, girando di paese in paese, per confermarlo nella fede, per cui una missione popolare costituisce un momento di grazia del Signore per la comunità parrocchiale.
Le buone mamme portano i piccoli in chiesa per la benedizione dei sacerdoti. “Zi Maria” accompagna anche il suo piccolo e chiede di benedirlo. Il bambino guarda il sacerdote, grosso ed austero, incuriosito ed anche meravigliato. Il P. Rispoli, così si chiama, fissa il piccolo, gli pone la mano sul capo e dice alla mamma: ” Questo fanciullo sarà sacerdote, un grande predicatore, si segnalerà per santità e farà un’opera in Secondigliano”.
Il bambino è Gaetano Errico.
Egli nasce il 19 ottobre 1791 da Pasquale e Maria Marseglia in Secondigliano.
“Lui” è di Miano, ma i suoi provengono da Frattamaggiore; “lei” di Secondigliano.
Il giorno 17 aprile nella chiesa di S. Carlo, al Corso Secondigliano, località detta “sul Ponte”, celebrano il loro matrimonio, dal quale nascono nove figli, cinque maschi e quattro femmine. Gaetano è il secondogenito.
Pasquale e Maria, ambedue ottimi cristiani, godono buona fama nel paese, dove tirano avanti la numerosa famiglia con il loro onesto ed artigiano lavoro: il primo gestisce una piccola fabbrica di maccheroni e l’altra tesse la felpa.
Sono attenti nell’educare, prima con l’esempio e poi con la parola, nella fede cristiana i figli, che hanno battezzato appena nati.
I paesani, che li ricordano, quando Gaetano è grande, esclamano: ” Per aver un altro don Gaetano, è necessario che vi siano un altro “Zi Pasquale” ed un’altra “Zi Maria”.
“Zi Pasquale”, così lo chiamano in paese, si dedica alla fabbrica di maccheroni e, quando questa va male, si fa anche nervoso, per cui qualche volta molla qualche sberla di troppo anche al piccolo Gaetano, senza che abbia commesso alcuna mancanza.
Ma è un uomo buono e tenero. Suo nipote Beniamino racconta che non solo non si lasciava mai sfuggire l’occasione per esortarlo alla preghiera del mattino e della sera, ma, andando con lui a passeggio ed incontrando qualche immagine di Gesù Crocifisso o della Madonna, l’alzava e lo invitava a baciarla.
Una volta, parlando in famiglia, dice che morirà senza le campane, perché vuole morire senza folla e senza dare disturbo.
Il 28 marzo 1834, quando muore, è venerdì santo e le campane non possono suonare.
“Il padre di don Gaetano era un uomo dabbene, ma la madre era assai più virtuosa e caritatevole” è l’elogio che fa la gente, quando, il 19 aprile del 1837, muore anche “Zi Maria”.

Gaetano, bambino, ama andare in chiesa con la mamma, imita i grandi, presentandosi davanti al confessore per la benedizione; s’inginocchia davanti al SS. Sacramento con tanta devozione che la gente lo guarda ammirata.
All’età scolastica frequenta le lezioni di due sacerdoti, don Giovanni Tagliamonte e don Michelangelo Vitagliano, i quali, poiché s’applica con impegno e serietà nello studio non solo si congratulano con i genitori, ma l’incaricano di badare all’ordine nella loro assenza e gli affidano qualche compagno più debole scolasticamente.
Il tempo che avanza allo studio lo occupa a fare altarini, imitando le funzioni della Chiesa e spesso i familiari lo vedono in un cantuccio inginocchiato a pregare.
In parrocchia, che frequenta assiduamente, aiuta per le pulizie, a preparare gli altari e ad ordinare gli arredi sacri. È sempre presente alle funzioni religiose ed alle prediche.
Il parroco, don Pumpo, meravigliato della sua condotta, all’età di sette anni l’ammette alla prima comunione.
Felice, Gaetano non sa come esprimere la sua gratitudine e d’allora ogni otto giorni si confessa e si comunica.
Sceglie anche il confessore, don Michelangelo Vitagliano, che lo sarà per sempre.
In famiglia non fa mancare il suo aiuto, obbedisce a tutti; esegue ogni lavoro che gli è comandato nella fabbrica del padre, che, ammirando la sua diligenza, gli affida anche qualche compito di fiducia. Infatti, quando deve spedire i maccheroni nei paesi vicini, incarica Gaetano di accompagnare i vetturali, per far giungere sicuramente la merce. E Gaetano per non perdere tempo lungo il tragitto, si porta i libri scolastici per imparare la lezione del giorno dopo.
Fanciullo, appena un povero bussa alla porta di casa o l’incontra per strada, corre dalla mamma e le dice: “Mamma, dammi qualcosa per i poverelli ed io gliela porto”.
Ha compiuto da poco dieci anni, quando i sacerdoti, che lo seguono a scuola ed in chiesa, ammirati per lo zelo nello studio e la devozione con la quale riceve i sacramenti e prega davanti al SS. Sacramento, l’ammettono al sacramento della cresima, che riceve il 2 gennaio 1802, da S. Ecc. Mons. Iorio nella cattedrale di Napoli. Gli fa da padrino, il parroco, don Domenico Cafolla.
Gaetano non passa inosservato neanche nel paese, per cui la gente commenta: “Il figlio di “Zi Maria” è un santerello, è un santo ed un santo si deve fare”.
Fin da ragazzo egli manifesta l’intenzione di diventare sacerdote.
All’età di 14 anni, con il consenso dei genitori, chiede ai Padri Cappuccini, tra i quali già vi sono due suoi cugini, di essere ammesso nell’Ordine, ma la domanda non è accolta, perché, come egli dice, “i padri non mi ritrovarono capace per tale stato”.
Nel frattempo, nel 1807, una legge di Giuseppe Bonaparte, nuovo sovrano del Regno delle due Sicilie, vieta ai Superiori dei conventi di ricevere i giovani, che non hanno compiuto 18 anni.
Dietro consiglio del suo confessore, all’età di 16 anni, appena compiuti, Gaetano decide di entrare nel seminario diocesano, dove, nel gennaio del 1808, veste l’abito talare, che, per le ristrettezze economiche della famiglia e perché “è un ragazzo morigerato, devoto e benvoluto da tutti nel paese”, gli viene regalato dalla signora Maria Rossi.
Qualche mese dopo i padri Redentoristi ritornano a Secondigliano per un’altra missione al popolo e Gaetano, che non ha dimenticato il suo progetto “di vivere tra i chiostri, non già nel secolo”, chiede anche a loro di essere accolto nella Congregazione, ma “un Padre di quelli gli rispose di non poter essere contentato, perché doveva essere sacerdote a Secondigliano”.