Certificazione di qualità
 
Consigliato dal cardinale Caracciolo, don Gaetano, nel maggio del 1838, si reca a Roma per chiedere il riconoscimento pontificio della sua Congregazione. Un iter obbligato.
La Chiesa è per necessità di cose un’organizzazione fortemente strutturata. In essa, è tanta la creatività spirituale ed evangelica, prodotta dallo Spirito Santo oltre che dalla fantasia e dall’intelligenza dei fedeli, che in mancanza di regole e controlli adeguati si rischia di comprometterne la stabilità. Comunque, se l’organizzazione della Chiesa è rigida, le sue strutture hanno una tale flessibilità da renderla stabilmente instabile. In effetti vive di cambiamento, è sempre in cammino, in continua conversione. Di questa cultura del cambiamento, della strada, della conversione, Gaetano Errico è brillante esponente e promotore.
Ad aprirgli le porte dei “ministeri” romani (le Sacre Congregazioni proposte al disbrigo degli affari correnti della Chiesa) sono dite “lettere commendatizie” – vere e proprie raccomandazioni, anche se non di tipo clientelare – del suo Cardinale di Napoli. Viene ricevuto in udienza da papa Gregorio XVI: un frate (camaldolcse che anche da papa continua a dormire su un pagliericcio e a nutrirsi coi cibi poveri del convento. I due si capiscono: la Chiesa ha bisogno di missionari (Gregorio XVI aveva avviato riforme importanti in questo senso) e quelli inventati da don Gaetano sono perfetti. Il Papa benedice.
L’esperto – padre Giuseppe Crescini, dei Chierici della Madre di Dio – incaricato di studiare il progetto della nuova Congregazione dà parere favorevole. Propone però di rinviarne l’approvazione, in attesa che si consolidi dal punto di vista organizzativo e acquisti la giusta massa critica per inserirsi con efficacia nella struttura giuridica della Chiesa. I Cardinali e i consultori della Congregazione dei Vescovi e Regolari si attengono al giudizio dell’esperto, il quale invita il cardinale Caracciolo a dare una mano perché la nuova Congregazione si consolidi e si diffonda, nella sua e nelle altre diocesi, per accelerare i tempi del l’approvazione. Insomma il progetto di don Gaetano ottiene la certificazione di qualità, come dire il massimo dei voti con lode (decreto di lode). Ma deve superare la fase sperimentale.
Don Gaetano incassa il successo, accetta la prudenza curiale, controllando la sua urgenza di evangelizzatore, e rientra a Secondigliano. Il viaggio di ritorno viene disturbato da un gruppetto di passeggeri (tre uomini e una donna) cui non par vero di fare i cretini con dei preti (ad accompagnare don Gaetano c’era padre Giuseppe Orlando, uno dei primi discepoli). La diligenza si riempie di parolacce, risate, provocazioni volgari. Alla pausa pranzo (sulle strade di lunga percorrenza c’erano delle specie di autogrill, per rifocillare cavalli e viaggiatori) la combriccola pensa di lasciare a digiuno i due sacerdoti, spazzolando tutte le portate di magro disponibili. Era venerdì ed era obbligatoria l’astinenza dalla carne. Don Gaetano e don Giuseppe rimangono a stomaco vuoto e non protestano. Immagginarsi le risate e i commenti.
La stupida sceneggiata riprende e i due sacerdoti, più che raccogliere provocazioni e offese, sono preoccupati del rischio che la volgare farsa, al termine del viaggio, non finisca in rissa, ben conoscendo il caratterino dei compaesani. Si arriva a Secondigliano. Ad attendere i due sacerdoti una piccola folla che saluta, si complimenta e fa un po’ di festa. Uno spettacolo di stima e di affetto che fa sbellicare dalle risate i quattro imbecilli. I quali, se tanto mi dà tanto, hanno l’infelice idea di estendere i loro lazzi e le loro battute ai presenti, rischiosamente convinti che si trattasse dì poveri deficienti. In pochi secondi devono cambiare linguaggio, atteggiamento, cera e opinione: quelli di Secondigliano aboliscono le presentazioni, respingono le battute ai mittenti, si rimboccano le maniche e dispongono le mani a cazzotto. La banda si squaglia, a sipario aperto.
 
 
Le prime basi
 
Nella piccola comunità del Ritiro si fa festa. Don Gaetano viene formalmente eletto Superiore generale. È un buon successo, che rinforza le motivazioni di tutti.
Con il decreto pontificio di lode in mano, nel luglio del 1939, il Fondatore si presenta al ministro degli Affari ecclesiastici per chiedere che il suo gruppo di collaboratori venga riconosciuto come “Congregazione a tutti gli effetti”.
La pratica impiega un anno ad arrivare al Consiglio di Stato che il 21 aprile del 1840 giudica la Congregazione dei Sacri Cuori “di utilità alla religione, alla morale cristiana e all’esempio”.
Ma i trabocchetti della burocrazia – ecclesiastica e civile sono infiniti. La nuova Congregazione, civilmente riconosciuta, ha dei vincoli giuridici sul piano ecclesiastico: non può ordinare sacerdoti se non chiedendo il permesso ai Vescovi di origine dei candidati. E i Vescovi, più di una volta, si rifiutano. È un ostacolo pesante, che scoraggia più di qualche giovane attirato dal sacerdozio nella versione proposta da don Gaetano.
Don Gaetano tenta di ottenere una variante alla legislazione vigente, e chiede di poter presentare i candidati al sacerdozio della sua Congregazione solo al Vescovo di Napoli. Ma si guadagna un no, senza appello.
Non c’è altro da fare che aprire nuove case e ingrandire l’organizzazione, per ottenere al più presto l’approvazione pontificia.
C’era, in quel di Roccasecca, un vecchio convento dei Minori Conventuali, prima trasformato in carcere dalla repressione napoleonica e poi riconsegnato alla curia dal concordato napoleonico, con quella mancanza di logica di cui tutti gli usurpatori sono dotati. Monsignor Giuseppe Monticri, Vescovo di Aquino, Sora e Pontecorvo, voleva rimetterlo in funzione, nell’ambito del suo progetto di riforma della diocesi. Siamo nel 1838 e il povero Vescovo si era trovato di fronte a una situazione disastrosa: preti che non erano quasi in grado di celebrare la Messa in latino, fedeli allo sbando e del tutto ignoranti delle cose della fede. Per cui aveva dovuto mettere a punto un piano generale di ricostruzione della diocesi e quel vecchio convento gli tornava utile.
Parla della sua intenzione al re Ferdinando II, che gli consiglia di invitare in diocesi i religiosi di don Gaetano Errico e di affidare a essi quella struttura. Il Vescovo non li conosceva, ma il re sì. Don Gaetano, per suo ordine, aveva libertà di accesso a corte e, spesso e volentieri, veniva convocato per fornire consigli e valutazioni.
Partono i primi contatti, si chiedono le solite raccomandazioni e garanzie e nell’arco di cinque anni, nel 1843, i Missionari dei Sacri Cuori arrivano a Roccasecca. La casa e la chiesa sono state ristrutturate dalla diocesi e l’insediamento dei religiosi viene preceduto (il copione diverrà fisso nella fondazione delle nuove case della Congregazione) da una bella missione al popolo.
L’opera si sviluppa in fretta, come in fretta viene portata a regime la strategia della “missione continua”, un modello di evangelizzazione che risponde ai fabbisogni di catechesi e vita sacramentale dei fedeli in tutti i giorni dell’anno. Roccasecca diventa così un punto di riferimento pastorale per i paesi vicini.
Una seconda opera viene affidata ai missionari di don Gaetano da monsignor Leone Ciampa, amico del Fondatore. Anche lui aveva in quel di Andretta (Avellino) un antico santuario, dedicato a Santa Maria del Mattino, molto caro alla popolazione, con annesso un edificio che non era mai riuscito a impiegare adeguatamente. Il Vescovo aveva chiesto una missione popolare, a conclusione della quale si era impegnato a insediare i padri, nella casa opportunamente predisposta. La missione al popolo parte ma non parte l’autorizzazione ministeriale ad aprire la nuova opera. Le carte si erano perse negli uffici del ministero degli Affari ecclesiastici. La missione si conclude e il Vescovo vorrebbe rimandare. La gente insorge e si oppone. Si trova un compromesso: per il momento si fermeranno ad Andretta solo un padre e un fratello laico. Non appena arriverà l’autorizzazione ufficiale, la comunità al completo prenderà possesso della nuova casa.
Anche le missioni predicate nella diocesi di Cerignola, tra il 1842 e il 1843, procurano ai Missionari dei Sacri Cuori l’invito a insediarsi da quelle parti. Viene loro messo a disposizione un convento di dieci stanze con annessa una chiesa, dedicata a Sant’Agostino.
 
 
Calunnie
 
La Congregazione ormai comincia ad avere una consistenza organizzativa precisa, anche se il Fondatore la definisce “umilissima”. Quattro case e settanta congregati, tra sacerdoti, fratelli laici, chierici-studenti e un buon numero di novizi. Ci sono tutte le condizioni per ben sperare, ma bisognerà soffrire ancora.
La prima tempesta scoppia dall’interno della giovane comunità religiosa. Da qui parte per la curia di Napoli un ricorso contro don Gaetano, nel quale lo si accusa di accettare con troppa facilità nuovi aspiranti (visto che alcuni lasciano la vita religiosa) e di affidare l’amministrazione della comunità alle donne. Firmano il documento cinque congregati, tra i primi seguaci di don Gaetano.
 
Le accuse sono pretestuose: a parte la mentalità chiusa e un po’ retriva di qualcuno dei firmatari, che non capisce bene il cuore del Fondatore, a fare problema è la presenza in comunità di due persone, molto brave e molto disponibili, ma piuttosto invadenti e arroganti. Si tratta di don Francesco Barbato e di sua sorella Bonaventura, chiamata la “monaca di casa”.
Il sacerdote è un illustre teologo e filosofo e insegna gratuitamente ai chierici di don Gaetano. Ma è un tipo collerico, sanguigno, bizzoso, cui non va mai bene nulla. È un uomo di cultura, difficile da sopportare e didatticamente disastroso. La sorella è una brava donna, che cura il buon andamento della casa e si trova a essere, senza regolare contratto, una specie di colf tuttofare. Il che probabilmente le fa ritenere di disporre di un potere che nessuno le ha in effetti attribuito.
Don Gaetano sa bene come stanno le cose. È un tipo che punta al sodo e invita tutti a portare pazienza: il rapporto costi e benefici, secondo lui, paga. Ma secondo altri no. Lo considerano un debole, uno che si fa condizionare, che non ha polso. In realtà, non appena la comunità riesce a conquistare una certa autonomia formativa e didattica, don Gaetano ringrazia il teologo della docenza e la sorella dell’amministrazione, esonerandoli entrambi da ogni incombenza. Una scelta fatta al momento giusto nell’interesse superiore della comunità. La pagherà duramente, perché don Barbato non gliela perdonerà mai.
 
Il ricorso non viene presentato al Cardinale, che ci avrebbe riso sopra, ma arriva sulla scrivania del Vicario capitolare monsignor Michele Savarese, che è persona intelligente ma rigida. Convoca don Gaetano e, invece di ascoltare anche la seconda campana (come si dovrebbe usare da chi deve prendere decisioni), lo aggredisce letteralmente, minacciandolo di chiudere l’opera se non risolve le questioni in oggetto. Don Gaetano zitto. Le contestazioni e i rimproveri del Vicario, in questo silenzio, crescono per un po’ e poi, inevitabilmente, si sgonfiano. Don Gaetano attende pazientemente che il suo superiore vuoti il sacco ed evita accuratamente di fornirgli nuovi argomenti per riempirlo.
Quando il Vicario si mette finalmente in ascolto, don Gaetaiìo gli racconta con molta calma come seleziona i candidati, come valuta la loro domanda di entrare in religione, come li orienta e come li forma. E quando il Vicario è definitivamente messo con le spalle al muro, gli rimanda il problema su un fatto di portata eccezionale per efficacia, quello dell’umiltà. Don Gaetano conclude la sua spiegazione assicurando monsignor Savarese che se mai la sua opera risultasse non valida e gli fosse imposto di chiudere, lui sarebbe disposto a consegnare le chiavi della casa immediatamente.
Non bluffava e diceva quello che aveva nel cuore. A conferma che c’è nell’umiltà un’intelligenza dei problemi e dei rapporti con le persone capace di risolvere i primi e rendere efficaci le seconde. Il Vicario, ovviamente, non ci sta ad accollarsi la responsabilità di far chiudere l’opera e congeda don Gaetano.
Ma deve, per necessità di cose, fare anche la seconda mossa e prendere nuove informazioni e mettere a confronto le accuse degli avversari coli il comportamento sereno, umile e obbediente di don Gaetano. E finalmente capisce come stanno realmente le cose. Lo fa richiamare, lo abbraccia e lo assicura che non prenderà mai più in considerazione giudizi negativi nei suoi confronti. Gli consegna persino l’originale del ricorso, con tanto di firme, perché lo usi come ritiene meglio.
Ma don Gaetano non si vendica. Terrà fino a tre anni prima di morire quel documento nel suo archivio. Poi ordinerà a suo nipote, padre Beniamino, di distruggerlo. Ma, in questa vicenda, il pezzo di bravura di don Gaetano è il modo con cui gestisce la crisi all’interno del gruppo dei suoi collaboratori. Un capo di scarso valore si sarebbe sentito offeso, squalificato, minacciato tic] suo potere e avrebbe reagito di conseguenza, con l’obiettivo di riaffermare la propria persona più che la propria funzione. Dimenticando il gruppo per salvaguardare se stesso. Don Gaetano, da autentico e abile leader, non la mette sul personale, punta alla salvaguardia del gruppo, ridisegna il sistema di relazioni, controlla i danni e li ripara. Noli squalifica i suoi accusatori ma li invita a rimanere fedeli alla loro vocazione, a riorganizzare i loro rapporti interni, a puntare sulla missione e sui compiti che essa comporta, lasciando perdere individualismi, invidie, riserve mentali. Il diacono firmatario che riteneva di essere escluso dall’Ordinazione viene rassicurato che il suo iter al sacerdozio sarà rispettato. Quelli che se ne vanno, partono in amicizia. Uno di questi, curiosamente, ritorna indietro, viene riammesso in comunità e subito valorizzato per la sua competenza teologica da contestatore a maestro. Don Gaetano aveva idee chiare su quello che oggi chiamiamo sviluppo delle risorse umane.
 
 
L’approvazione pontificia
 
L’8 dicembre 1845, dopo due anni di sede vacante, arriva a Napoli il cardinale Sisto Riario Sforza. È un uomo di curia, abituato ai contatti ad alto livello, e suggerisce a don Gaetano di presentare a Roma la domanda per l’approvazione definitiva.
 
Il Fondatore corregge le Regole secondo le indicazioni ricevute nel 1838, prepara una relazione sullo stato della Congregazione e cerca uno sponsor di prestigio, disposto ad accompagnarlo a Roma. Pensa, in un primo momento, al suo amico padre Rispoli, ma è gravemente ammalato. Chiede allora il piacere al Vescovo monsignor Leone Ciampa, suo grande estimatore: il Vescovo è disponibile, deve solo concludere la visita pastorale nella sua diocesi e poi può recarsi a Roma con don Gaetano. E così si organizza la partenza solo alla fine di aprile.
Come al solito don Gaetano non ha una talare decente da indossare, non ha un cappello adeguato da mettersi in testa, non ha soldi per pagarsi il soggiorno a Roma. La talare gliela regalano, il cappello lo ordina lui, lo vuole “mezzo rozzo” e si affida alla Provvidenza per i soldi del soggiorno. Lo accompagna il fratello laico Antonio Martingano, che gli fa da segretario personale.
Una volta arrivato a Roma, si presenta alla Congregazione dei Vescovi e Regolari con la nuova edizione delle Regole, la supplica al Santo Padre, le lettere di accompagnamento di dieci Vescovi diocesani, compreso l’Arcivescovo di Napoli, i quali tutti esprimono giudizi eccellenti sulla nuova Congregazione, sui suoi membri e sull’efficacia evangelica della loro azione. Il Nunzio apostolico di Napoli ha fatto pervenire, per via diplomatica, la sua opinione su questi “soggetti di santa vita e di ottimo spirito e, in modo particolare, divoti della Santa Sede”. Che è un tocco di classe per mettere in bella vista chi ha petizioni da rivolgere alla Curia romana.
Gregorio XVI lo riceve per ben due volte in Udienza privata e gli chiede la differenza tra la sua Congregazione quella di sant’Alfonso de’ Liguori. Una curiosità non da poco, quella del Papa, che stava da tempo sul tavolo degli esperti. Che i Missionari dei Sacri Cuori fossero un dloppione dei Redentoristi era una eventualità poco opportuna sul piano giuridico, su quello organizzativo e su quello pastorale, dal momento che si rischiava di confondere la gente.
 
Alla somiglianza tra le due Congregazioni abbiamo già accennato, si tratta di influenze e sottolineature, che riflettono le condizioni storiche e socio-culturali in cui i due organismi si sono formati, soprattutto in riferimento ai fabbisogni spirituali e pastorali delle popolazioni in cui operavano. C del tutto improbabile che sant’Alfonso abbia chiesto con tanta insistenza a don Gaetano di clonare la Congregazione da lui fondata. Semmai, in quegli incontri misteriosi dei ritiri spirituali di Pagani, gli ha chiesto di integrarne il carisma, di potenziarne ed estenderne l’azione apostolica. Di differenziare il servizio, insomma. E in questa direzione don Gaetano si è mosso.
 
“Una differenza netta e profonda fra le due Congregazioni c’era e consisteva soprattutto in questo: che quella di sant’Alfonso aveva lo scopo di convertire e assistere religiosamente la povera gente sparsa per le campagne, lontana dai centri e priva di ogni messo spirituale; e i religiosi, che ne facevano parte, non potevano, oltre a ciò, applicarsi ad altro se non alla santificazione degli ecclesiastici, nelle loro case, e alla conversione dei laici per mezzo dei corsi di santi esercizi.
 
“La sua invece aveva un programma molto più vasto, che consisteva nell’estendere l’azione niissionaria anche alle grandi città con lo scopo specifico, tutto suo, di far conoscere a tutte le genti non solo la predicazione, ma con ogni genere di apostolato l’ardente amore dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria, procurando di infiammare del divino amore i cuori di tutte le creature.
“Per questo le case dei Missionari dei Sacri Cuori, a differenza di quelle dei Redentoristi che venivano erette fuori dall’abitato, dovevano sorgere proprio nei centri abitati per potere più facilmente, oltre che con missioni straordinarie e corsi di predicazione d’ogni genere, esercitare in mezzo alle popolazioni una missione continuata”.
 
La questione, all’analisi dei fatti, è subito rientrata e la pratica si fa spedita. Richiede tempi tecnici che nemmeno i contatti ad alto livello che don Gaetano riesce a instaurare possono ridurre.
 
Gli fa da guida e suggeritore, in questo soggiorno romano, il procuratore generale degli Eremiti di Noto in Sicilia, fra Carmelo. È persona bene introdotta negli ambienti ecclesiastici e in quelli della nobiltà romana. Grazie a lui, don Gaetano conosce ed entra in rapporti di amicizia con Cardinali e principesse. Tra queste si interessa a lui, particolarmente, una certa principessa Wolkosky, russa convertita al cattolicesimo, che si occupava di opere di carità e amava colloquiare con i santi. Un modo di intendere il “salotto” piuttosto diverso da quello di oggi.
 
Nessuna concessione dunque alla vita mondana ma visite ai monumenti romani, partecipazione a funzioni sacre e a incontri con il Papa. Il quale muore, all’improvviso, il I giugno. Gregorio XVI muore da frate e non da sovrano. Per suo volere si apre la Bolla Ad supremam, scritta da lui nel 1841, in cui stabilisce le norme per l’elezione del suo successore. Erano tempi turbolenti e il rischio che la cattedra di Pietro rimanesse vacante era reale. Liberali con tutti, i progressisti di allora non riuscivano ad andare d’accordo con i preti e con il Papa.
 
Gregorio XVI aveva stabilito che se il Papa fosse morto in Curia, i Cardinali presenti a Roma potevano eleggerne il successore dentro o fuori del conclave, comunque senza aspettare l’arrivo dei colleghi residenti fuori Roma e con la legge dei due terzi. Se il Papa fosse morto fuori Roma, il successore doveva essere eletto dai Cardinali presenti a maggioranza relativa.
I Cardinali valutano la situazione. Il governatore di Roma non ritiene ci sia pericolo imminente di rivolte, anche se le acque non sono del tutto calme. Si decide di attendere l’arrivo dei Cardinali lontani. E scatta la sarabanda delle previsioni e delle scommesse: tra i papabili c’è anche il cardinale Mastai Ferretti, che non gode comunque del favore dei pronostici.
Don Gaetano va a fargli una visita di cortesia e baciandogli l’anello gli scappa di dire: “Santità, vi raccomando la mia Congregazione”. Il Cardinale corregge: non “santità”, ma “eminenza”. Ma don Gaetano sembra non capire e insiste sulla sua profezia. E così avviene. Dopo due soli giorni di conclave, il 16 giugno il cardinale Mastai Ferretti diventa Pio IX. La gente non è soddisfatta ma don Gaetano sì: ha previsto il successore e ha previsto l’elezione veloce. Grazie ai buoni uffici di fra Carmelo ottiene presto un’udienza e, curiosamente, sollecita il nuovo Papa a iniziare il suo pontificato con l’approvazione di un nuovo istituto “che professa opere tutte d’amore”.
Un mese dopo, padre Crescini, nuovamente incaricato dalla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari di valutare natura e regole della nuova Congregazione, conferma la sua opinione positiva e tutti i consultori danno il loro placet perché sia approvata. Il decreto di approvazione porta la data del 7 agosto. La Lettera apostolica è del 15 settembre.
Don Gaetano viene nuovamente ricevuto dal Papa che gli punta sul petto il distintivo semplificato della Congregazione (restano i due cuori e scompaiono angeli e cherubini). Portandosi dietro le ossa dei martiri Giustino e Generosa arriva a Secondigliano attorno al 23 agosto. Lo accolgono come un trionfatore.
 
 
L’approvazione popolare
 
Prendiamo lo spunto da questo ennesimo episodio di partecipazione popolare per sottolineare uno degli aspetti più caratteristici di questa vicenda. Nella storia della vita religiosa la nascita di una nuova opera comporta sempre un certo travaglio che viene vissuto, normalmente, dal Fondatore e dai suoi collaboratori più vicini, in una specie di privacy più o meno sofferta. Normalmente il conflitto tra il nuovo carisma e l’istituzione ecclesiastica – conflitto fisiologico oltre che canonico – si gioca nelle stanze del potere curiale e viene sofferto, pregato, metabolizzato e reso produttivo nelle celle e nelle chiese della nuova opera. La comunità ecclesiale non conosce e non partecipa più di tanto. Avrà modo di goderne i risultati a giochi conclusi.
 
La Congregazione dei Missionari dei Sacri Cuori nasce in invece in modo diverso: nasce in piazza, nasce in strada, in un clima di grande partecipazione popolare. Voluta e attesa da tutta la comunità, che la considera come propria.
 
Don Gaetano sfrutta al meglio la straordinaria ricchezza psicologica della sua gente (e dunque anche sua personale) con una scelta di marketing strategico (diremmo oggi) eccellente. Coinvolge tutti nella sua impresa – famiglia, amici, compaesani, confratelli nel sacerdozio, autorità civili e religiose – riuscendo in maniera invidiabile a fare incontrare fin dall’inizio la domanda con l’offerta di evangelizzazione.
 
Normalmente Ordini e Congregazioni religiose nascono dalla sensibilità di una persona che sa leggere, con acume, i bisogni del popolo (li Dio e inventa un sistema di servizi che gira attorno a una funzione particolare: educazione, assistenza sociale, predicazione, liberazione degli schiavi, diffusione della fede e quant’altro. Si offre un servizio nella certezza che risponda a un bisogno reale, ma non a fronte di una domanda esplicita. I grandi fondatori sono tutti degli eccellenti sociologi, bravissimi nel leggere i fabbisogni umani e religiosi del loro tempo. Don Gaetano è anche un eccellente psicologo.
 
Non inventa una Congregazione in cerca di servizio ma costruisce, cori i suoi collaboratori e con la sua gente – quella conosciuta e frequentata nelle missioni, cercata nelle bettole, ascoltata nelle case, catechizzata nelle sue chiese -, un sistema di vita sociale e religiosa in cui tutto e tutti sono allo stesso tempo domanda e risposta.
 
Lo stile vincente della missione, nel quale l’annuncio e l’ascolto sono contemporanei: la missione si predica dal pulpito ma si vive per le strade, nelle case. I missionari si immergono nella vita comune di ogni giorno, scompaiono nel tessuto sociale e culturale di un paese, diventano prima amici e partner dei loro interlocutori, poi confessori e salvatori. Non fanno proselitismo – che significa convincere la gente a venire da te, nelle tue strutture, nella tua cultura, nella tua Chiesa – fanno missione e cioè vanno dove va la gente, percorrono le strade di tutti, condividono le mete degli altri. Piantano le croci agli incroci delle strade, come segnaletica ai viandanti, non le piantano sui campanili o sui tetti delle chiese a indicare la conquista del territorio.
 
Quel titolo che i secondiglianesi gli attribuiscono di ‘o Superiore la dice lunga sulla relazione che don Gaetano e i suoi figli sono riusciti a instaurare con la comunità civile e religiosa. Il figlio del maccheronaio resta sempre e comunque uno di loro, da loro riceve una specie di mandato per il sacerdozio, dal momento che tutti gli riconoscono, fin da bambino, le qualità per fare il prete. Da loro riceve l’approvazione e l’aiuto per la costruzione della chiesa dell’Addolorata. E da loro riceve anche la prima e fondamentale approvazione della sua Congregazione. Quella pontificia diventa così una specie di ratifica dovuta, che i secondiglianesi che erano sicuri di ottenere.
 
Il successo di don Gaetano è il successo di tutti. Lo è oggettivamente e non solo emotivamente. E lui lo sa molto bene, perché è uno di loro e ragiona come loro, Il potere politico e religioso, per un napoletano, viene sempre dopo il potere dell’appartenenza, della comunità, della famiglia. Viene dopo il potere del cuore. Don Gaetano lo ha scritto nero su bianco a Pio IX: “Il nuovo istituto professa opere tutte d’amore”.
E Pio IX, che sui conflitti di potere porterà avanti il suo travagliato pontificato, sottoscrive la filosofia di vita di quelli di Secondigliano. Un gesto non da poco, da parte del responsabile della Chiesa universale, che ti fa pensare che quel modo di intendere la fede e la comunità possa andare bene in tutto il mondo.
 
Lo avevano del resto evidenziato gli esperti della Congregazione dei Vescovi e Regolari che i Missionari dei Sacri Cuori avevano ambizioni evangeliche molto estese, e che volevano andare in tutto il mondo. Vangelo in cuore e dialetto in punta di lingua, come diceva don Gaetano, convinto che nessun napoletano ha difficoltà a farsi capire.
 
E questo mix di procedure canoniche e di tifo popolare che rende affascinante la nascita dei Missionari dei Sacri Cuori. Senza togliere nulla allo Spirito Santo, don Gaetano è stato sollecitato a fondare la sua Congregazione da un conterraneo (sant’Alfonso Maria de’ Liguori), dai suoi compaesani e dalla gente di molti paesi del Sud, cui ha portato le ragioni della speranza.