La biografia, a firma P. Luigi Toscano, ha il sapore francescano dei “fioretti”. Sapore che ben si adatta alla figura di Gaetano Errico, che della vita francescana ha subito il fascino. Sapore che rende anche bene la gioia e il coinvolgimento di un rapporto speciale, vissuto dall’autore nei confronti del Fondatore.
A questa simpatica e cristiana esigenza di mettere in comune la gioia e la conoscenza di un padre tanto amato, si aggiunge un elemento che caratterizza questa biografia e la rende preziosa: il linguaggio. Piano, discorsivo, popolare, “missionario”. A testimonianza che una delle lezioni più importanti del fondatore è stata recepita alla perfezione.
La vita dell’Errico è “popolare” nel senso più completo del termine: perché centrata su un quotidiano modesto, perché vissuta assieme al popolo cui è stata regalata con straordinaria generosità, perché la partecipazione del popolo alla sua avventura di prete, di costruttore di chiese, di fondatore e di santo è stata totale, corale. Una strepitosa “sceneggiata” che solo dalle parti di Napoli può uscire dagli schemi della rappresentazione e diventare storia reale.
Effetto tanto più sorprendente in quanto il contesto – descritto dalla storia ufficiale che di don Gaetano non sa nulla per una irreversibile miopia – in cui la vicenda di don Gaetano (1791-1860) si svolge non è particolarmente favorevole allo sviluppo della santità. Si tratta di un momento storico di grande confusione politica, sociale, culturale ed economica: in Italia si sta perpetrando, con il pretesto dell’unità, la spaccatura in due del paese; il potere dell’aristocrazia diventa sempre più formale mentre diventa reale (ma poco efficace) il potere della borghesia degli affari e della cultura; di fatto il vuoto di potere fa spazio ai partiti, alle fazioni, alle sette, alle forme più o meno organizzate di delinquenza. Un periodo di transizione, pesantemente colorato di anticlericalismo e di violenza.
L’entrata in questa scena di don Gaetano è di basso profilo: vive nel suo paese, in casa sua, a diretto contatto con la realtà quotidiana dei suoi concittadini; pensa che non si dia alcun reale cambiamento (rivoluzione) che non sia cambiamento culturale; ritiene che la religione sia uno strumento efficace di progresso umano e sociale, e ad essa aggiunge l’istruzione facendo il maestro di scuola. Rinuncia a fare il professore, perdendo i privilegi sociali ed economici di una corporazione, oggi di nuovo alla ribalta.
Tutti ingredienti che sembrerebbero destinarlo a un ruolo di contorno, se non fosse che un giorno si mette in cammino, con una croce sulle spalle. Attraversa paesi e città, supera colline e montagne, entra nelle case e nelle bettole, trascina folle sempre più numerose in chiesa. E quello che più conta mette in ginocchio tutti: uomini e donne, popolani e potenti, carbonari e reazionari, banditi e ragazze in fiore.
Questa folla dimezzata, in ginocchio, e dall’aria penitente, sembra una massa inerte, facile da manovrare, ma in realtà ha in sé una carica di innovazione, di impegno e di speranza da meravigliare.
Don Gaetano ci dimostra che con la predicazione e la confessione si può cambiare l’uomo. In questo libro si raccontano molti fatti legati alla pratica della confessione e della predicazione di don Gaetano. Si tratta di due attività inserite in una strategia di evangelizzazione, centrata sulla missione al popolo, sulla missione continua. Don Gaetano è un confessore, un predicatore e un testimone itinerante della salvezza. Copia accuratamente lo stile del Vangelo: Gesù non aspetta che la gente venga da Lui, la va a cercare o indica loro dove possono trovarlo e li invita ad andare a vedere. Per questo non ha bisogno di chiese da riempire e gli sta bene di vivere in un tempo in cui Dio si adora in spirito e verità.
Mi piace evidenziare come l’approccio di don Gaetano alle diverse popolazioni, coinvolte nelle “missioni”, sia di eccezionale attualità. C’è una vera e propria strategia di marketing nella sua azione religiosa, che parte dall’analisi del settore, individua il target preciso (le persone più bisognose di recupero morale e religioso), elabora il messaggio e il mezzo per veicolarlo (la predica, la processione, la flagellazione in pubblico), ottenendo il risultato tipico di questa strategia: la modifica del comportamento.
La formula comunicativa adottata da don Gaetano è modernissima, tipicamente televisiva (anche se non impiega le tecnologie di oggi). Essa incide infatti sull’organizzazione del tempo giornaliero delle persone: la missione prevedeva una serie di appuntamenti giornalieri che non venivano elusi, se il conduttore sapeva essere convincente e affascinante. Don Gaetano lo era e la gente non perdeva una puntata, né a Secondigliano né negli altri paesi toccati dai suoi tour missionari.
In lui colpisce anche una curiosa sociologia della salvezza, secondo la quale i destinatari privilegiati della missione sono i poveri. E tra i poveri quelli da accudire meglio sono i maschi, che è una concessione al maschilismo, ma anche un’elaborazione efficace di un luogo comune che attribuisce al maschio, nel bene come nel male, un ruolo di preminenza. Preminenza che deve essere per lo meno presa in considerazione se si vuole cambiare qualche cosa. Si potrebbe anche dire che dopo tanti anni di strane idee sulle donne causa e fomite di peccato, c’è un santo che ha deciso che non solo le donne non attirano al peccato ma che i peccati che esse stesse compiono hanno meno rilevanza di quelli maschili.
Noi ne siamo più che convinti.
Don Gaetano entra anche in contatto con associazioni a delinquere: a quei tempi si andava dal brigantaggio alla camorra. Ma anche carbonari e settari vari non scherzavano sul piano della devianza.. Don Gaetano li porta spesso a deporre le armi. In tutti i casi non concede loro alcuna attenuante. Se vogliono essere accettati, devono convertirsi, cambiare vita. Mediazioni non sono concesse. Il che destituisce di fondamento l’etichetta di reazionario o di conservatore che gli viene affibbiata – ha sicuramente delle simpatie monarchiche – per il semplice motivo che la sua cultura di base è squisitamente rivoluzionaria, nelle premesse e negli obiettivi. Ad esempio, trovo molta “pedagogia degli oppressi” nel modo di fare di don Gaetano, se non addirittura influenze metodologiche della teologia della liberazione. I lettori non si spaventino, mi riferisco solo al fatto che don Gaetano faceva scuola e catechismo. E questo significa dare la parola ai poveri. Che è il senso di quei due termini complicati sopra riportati.
L’impianto culturale di don Gaetano mette al centro l’etica. Mancano 150 anni ai nostri tentativi di coniugare etica ed economia, etica e politica, etica e tecnica. Come maestro e sacerdote egli insegna l’etica, ma gli interessa molto di più la traduzione morale dei principi, la loro applicazione nella vita di ogni giorno. Ed ecco il confessore.
La confessione pare stia tornando di “moda”, ma forse non è questo ciò che ci avvicina don Gaetano. È il suo metodo di amministrare la confessione che lo fa un uomo dei nostri giorni. Da confessore non si limita ad osservare il peccatore a distanza, non analizza il comportamento del penitente e non gli basta comminare la pena e suggerire la cura (come un tecnico dell’anima o un dispenser della Grazia). Don Gaetano si coinvolge nell’esperienza del peccatore, entra a far parte della sua ricerca di salvezza. Gli dà, in altre parole, l’esatta percezione di far parte della sua condizione e del processo di conversione al quale lo invita. Non guida le anime a distanza, come un tecnico, ma condivide con loro la fatica della ricerca, il disagio della sofferenza, l’umiliazione dell’errore e del limite. Non gli elargisce il perdono, come un servizio reso in proprio, a confronto di un’adeguata ricompensa di sottomissione e di penitenza (come purtroppo usano fare alcuni confessori anche oggi). Ma gli impartisce l’assoluzione, come opportunità di diventare quello che è. Non tratta il peccato come sintomo, ma come limite che si può superare. Peccato come felix culpa, dunque.
Il confessore e il predicatore sono due aspetti della stessa strategia comunicativa ed evangelizzatrice, il cui scopo è incidere sul sistema di relazioni che le persone vivono in famiglia, sul lavoro, in paese, nella società. Tutto ciò ha una grande valenza politica, come ben intuiscono i vari esponenti del potere, ma don Gaetano come tanti altri preti e laici meridionali si tiene lontano dallo schierarsi con questo o quel partito, con questa o quella organizzazione. La sua azione sociale è colorata d’assistenzialismo, d’umanitarismo, di carità cristiana, ma sicuramente non rappresenta una tattica politica. La dimensione spirituale e mistica prevale su quella sociale.
È interessante, per quanto ne capisco io, vedere come i santi sociali del Nord (a parità di impegno spirituale, di preghiera, di penitenza e di esperienza mistica) cerchino anche di premere sul potere costituito, sfruttino il conflitto sociale per affermare i diritti umani della giustizia e dell’uguaglianza. I santi sociali del Sud, invece, sembrano privilegiare la dimensione spirituale, la sopportazione, la resistenza, l’adeguamento.
Una distinzione certamente forzosa che intende solo mettere in risalto come, in entrambi i fronti, si faccia evangelizzazione con le persone che si hanno: don Gaetano Errico conosce troppo bene la povertà culturale, spirituale, economica, politica, psicologica della sua gente, chiusa da sempre in rapporti di potere e di dipendenza asfissianti, per cui ha temperamento per salire sulle barricate e combattere con disperato coraggio, ma non ha strumenti e parole, referenti e significati per progettarsi un modo di vivere diverso. A don Gaetano hanno sparato e teso agguati più volte. È vissuto sopra una polveriera.
Io penso che queste chiavi di lettura servano a leggere la vicenda di don Gaetano con la sensibilità di oggi, cogliendone l’attualità senza tradirne la fresca originalità.
Gaetano Errico ci viene proposto solo oggi dalla Chiesa, a distanza di oltre 140 anni dalla sua morte, per una qualche ragione molto pratica. È un santo che ha saputo vivere e interpretare una fase di transizione con straordinaria creatività, spostando la sua attenzione dagli strumenti ai significati.
Oggi che di strumenti ne abbiamo più di quanti riusciamo a gestire, è giocoforza che ci rivolgiamo a chi ha imparato a fare la storia con i significati, non con i manufatti o le tecnologie, per uscirne. E se don Gaetano suggerisce che la soluzione sta in una missione del cuore, inteso nella sua versione maschile e femminile, come nella versione sacra dei Sacri Cuori, è molto probabile che ciò risponda al nostro reale fabbisogno.
Del resto, la missione dell’intelligenza, come la missione della scienza e della tecnica, hanno preso strade diverse da quelle che portano all’umanizzazione delle persone. La missione della coscienza si è arenata all’interno dell’individuo e non riesce a metterlo in contatto con il mondo. La missione dell’anima ci ha spaccato in due: spirito da una parte e corpo dall’altra.
Non ci resta che la missione del cuore. L’ipotesi è presa in considerazione anche da molti laici. L’esperienza di Gaetano Errico, che della missione del cuore ha fatto lo scopo della sua vita, è quanto mai pertinente e mi auguro che la lettura della sua vita convinca molti a parteciparvi.