Durante il colera, il, Clero napoletano diede prova di zelo, coraggio e sacrificio, spronato dall’esempio dell’Arcivescovo Riario Sforza che, per la sua eroica carità in tale circostanza, fu salutato da Pio IX, come “l’Angelo della carità”.
Lo stesso Arcivescovo lodava tale zelo. “Sei la notizia di quel che operaste nei giorni pas-sati pel nostro gregge flagellato, ed afflitto dal morbo asiatico, giunse ad eccitare, nel Sommo Gerarca della Cattolica Chiesa, sensi di paterno conforto e benedizioni, a noi, fra-telli amatissimi, testimoni dei sudore da voi sparso e delle fatiche da voi durate in aiutare e sollevare i nostri figli… torna giocondo il rendere al vostro zelo sacerdotale, testimonianza pubblica e solenne”.
Anche i sacerdoti di Secondigliano si fecero onore, “tutti senza badare al pericolo della propria salute, si prestarono a tutte le occorrenze e soprattutto presso i colerosi”. Così il Sindaco di Secondigliano. Tra questi vi furono i Missionari dei Sacri Cuori, spinti dall’e-sempio del loro Fondatore Gaetano Errico.
Come lui accorsero al capezzale dei malati e dei morenti, ma, soprattutto trascorsero lun-ghissime ore a, confessare, in chiesa o nel cortile della Casa, le lunghe, file di penitenti, accorsi da ogni parte, desiderosi di mettersi in pace con Dio.
Un giorno in cui il colera aveva mietuto più vittime in Secondigliano, alcuni Padri, terroriz-zati, andarono da Gaetano e gli dissero: “Superiore, siamo scoraggiati. Il medico D. Ange-lo Pennino ha detto che ieri vi furono diciassette casi di colera in Secondigliano. Permette-teci di cambiare aria, perchè questa è troppo infetta, e andare in famiglia fino al termine dei flagello. Per carità, diteci se c’è da temere per noi”.
Gaetano, pur compreso delle loro paure, paternamente rispose: “Ci sarebbe da temere se, come soldati vili e codardi, nell’ora della lotta, abbandonereste il proprio posto; rima-nendo in Comunità, nessuno, proprio nessuno, morirà di colera. Egli (Gesù Cristo) stama-ne me lo ha detto che non v’è da temere per alcuno di voi. Perciò faticate allegramente per Gesù Cristo”.
Nel pronunziare queste parole, arrossì. Poi cambiò discorso, quasi pentito di aver parlato.
Vi fu chi in Comunità si ammalò di colera, qualcuno ricevette anche i sacramenti degli in-fermi, ma nessuno morì. Soltanto il P. Chiarolanza, colpito dal colera in famiglia, venne a morire in Comunità.
Gaetano in quei giorni di lutto e di spavento, inviò una Circolare a tutte le altre Comunità, chiedendo a tutti i Padri di intercedere con le loro preghiere presso il Cuore Eucaristico di Gesù e di Maria Addolorata. Eccola:
 
Congregazione dei Sacri Cuori
Ufficio del Superiore Generale
N. 238
 
Secondigliano, li 23 agosto 1854
 
Sig. Rettore,
Il morbo Asiatico, flagello dei Signore, ci tiene fin dalla metà dello scorso mese in angustie e afflizioni. Desso desola, non solo questo nostro Comune ma i convicini ancora. Molti soggetti di questa nostra Comunità ne sono stati affetti e si trovano in qualche pericolo. Noi, nell’atto che benediciamo col S. Giobbe la pietosa mano dei Signore che ci percuote, alziamo nella umiliazione dei nostro cuore, la voce della preghiera verso il trono dell’Eter-no, onde essere consolati nelle nostre tribolazioni, sperando nella sua infinita misericordia di veder da noi allontanato sì desolante flagello.
Desiderando poi che alle nostre preghiere si aggiungano ancora quelle di tutti i nostri e dei popoli devoti, così vogliamo che in tutte le chiese delle nostre Case si faccia un triduo col-l’esposizione del SS.mo, recitandosi le Litanie dei Santi ed una Coronella a Maria SS. Ad-dolorata che è l’unica nostra speranza nelle afflizioni, che, nelle Messe e nelle altre fun-zioni, si tenga la Colletta pro, tempore pestilentiae che comincia: “Deus, qui non mortem”.
 
La benediciamo con i suoi.
Il Superiore, Generale Gaetano Errico
dei SS. Cuori di Gesù e di Maria
 
In quel periodo egli non trovò pace, passando dal confessionale al letto dei morenti o sul pulpito per esortare a ritornare a Dio. E le sue parole erano “così commoventi che i più duri di cuore non potevano non piangere insieme a lui”.
Non promosse processioni di penitenza, ma preferì radunare il popolo, in chiesa tutte le sere, sotto lo sguardo della Madonna Addolorata, dove, terminata la meditazione e recita-ta la Visita a Gesù Sacramentato, suggeriva qualche penitenza da compiersi o preghiere da recitarsi.
Alcune, volte, inginocchiato ai piedi, dell’altare maggiore, “coronato di spine e cinto di funi, si flagellava aspramente e, pregava, Dio perchè avesse placato il suo sdegno giustamente irritato, specialmente per i suoi peccati”.
A quanti lo pregavano di intercedere per la cessazione del morbo, rispondeva: “La vita e la morte sono nelle mani di Dio, il peccato è nelle anime vostre. Togliete il peccato e il fla-gello cesserà”
In quei giorni, moltissimi uomini, non solo da Secondigliano, ma da Napoli centro e paesi vicini, come Casoria, Casavatore, Arzano, Miano, S. Pietro a Patierno e vari paesi dell’a-versano, accorrevano a lui “bramosi di conciliarsi con Dio”. Egli, per comodità della gente, si sedeva in fondo al chiostro, sotto un albero di limone… essendo la chiesa alquanto an-gusta” ed ivi “dava ascolto e soddisfazione a tutti, senza punto stancarsi e infastidirsi, an-zi si consolava, vedendo tanta gente”.
 
E poiché la interminabile fila di penitenti attendeva fino ad ora inoltrata, egli trattenendo alcuni, diceva agli altri: “andate a dormire, che io qui vi espetto”. E restava al suo posto ad ascoltare tutti senza andare a letto.
In quel periodo, allorché era stanco, si riposava un poco “o adagiato vestito sul letto o sdraiato su di esso… Così durò per tre mesi, perchè, cessato il colera, era ancora affollato da persone che volevano confessarsi a lui”.
E perchè lo richiedevano i malati gravi di Secondigliano e dintorni, confessava sempre “col cappello poggiato su una sedia che aveva dinanzi e, appena chiamato, diceva al pe-nitente: “Figlio mio, aspettami un pò che subito ritornerò. Bisogna aiutare chi sta in mag-giore pericolo”.